martedì 9 luglio 2013

Le mancate riforme, il collasso del Parlamento, lo scontro tra poteri

Editoriale per i giornali del Gruppo Espresso

di CLAUDIO GIUA


A me è capitato a cena, qualche sera fa. Ma poteva accadere durante una pausa caffè in ufficio, oppure per strada dopo un cinema. Nel mezzo di un confronto di opinioni sul governo Letta un amico m'ha interrotto e apostrofato aggressivo: dimmi quale riforma degna di questo nome sia stata approvata dal Parlamento negli ultimi vent'anni. Non ho saputo rispondere, non me n'è venuta in mente una. A meno che si classifichi come riforma, che significa "azione che migliora uno stato di cose", la "porcata elettorale" ideata dal leghista Roberto Calderoli nel 2005 (la definizione è di Calderoli, si badi bene).

Poi la discussione tra noi s'è spostata sul ventennio come periodo standard di ogni negativo ciclo storico-politico nell'Italia dell'ultimo secolo. Una semplificazione figlia sia del fascismo, sia del berlusconismo nato il 26 gennaio 1994 con il messaggio televisivo della "discesa in campo". Un altro amico ha obiettato: siete i soliti faziosi, da allora Berlusconi ha governato undici anni suppergiù, per il resto abbiamo avuto maggioranze di centrosinistra con Prodi, D'Alema, Amato, e grandi coalizioni con Monti e Letta. Sì, ho convenuto: però il berlusconismo è una malattia infettiva e ormai cronica della democrazia italiana, che cova e fa danni anche quando sembra che il paese stia tornando in buona salute. Non ho convinto tutti. Anzi. Per fortuna s'era fatto tardi, abbiamo abbassato i toni e la guardia e ce ne siamo andati a casa.

La faccenda delle mancate riforme di vent'anni è però rimasta lì, a tormentarmi. Perché l'Italia, pur avendo bisogno di riforme profonde - la sanità, il lavoro, la giustizia, gli enti locali, il bicameralismo -, non riesce a realizzarne una che sia una? Chi o cosa ci impedisce di restare al passo con l'Europa migliore?

Sono andato a cercare qualche risposta in letture antiche e sono incappato in John Locke e nella sua definizione di Stato, di cui avevo confusa memoria. Su un testo universitario ho trovato una sua definizione di oltre trecento anni fa che m'è parsa attualissima, riassunta così: "...quando il Parlamento, cui compete di conservare la volontà della maggioranza del corpo sociale, cambia, si divide o si scioglie, a seguirne solo solo la dissoluzione o la morte del corpo sociale stesso, non più libero di esprimere la propria volontà". Poi ho letto "Hanno ammazzato Montesquieu!" di Alessandro Calvi (Castelvecchi, 14 euro, in libreria da qualche settimana), che propone un'analisi della crisi istituzionale aggiornata agli ultimi mesi. In particolare, evidenzia alcuni fenomeni che appaiono innegabili una volta individuati: i decreti (le norme di emanazione governativa che il Parlamento può solo convertire o respingere) costituiscono da un ventennio (rieccolo!) la gran parte del prodotto legislativo italiano; le Camere sono svuotate dei loro compiti primari; gli scandali hanno ridotto ai minimi termini la credibilità e l'autorevolezza degli eletti. In questa situazione, l'esecutivo e il giudiziario s'azzannano per occupare gli spazi lasciati liberi dal legislativo. Detto in modo semplice: mentre il Parlamento collassa, gli altri due poteri fondamentali si fanno la guerra. Locke l'aveva previsto, la conseguenza è "la dissoluzione del corpo sociale". Calvi, raccontando e studiando la politica italiana di questi anni, dimostra che la repubblica parlamentare progettata dai costituenti è la migliore e funziona solo se c'è il bilanciamento dei poteri. Cosa che non è.

Fosse qui ora, il più pessimista dei miei amici dell'altra sera sbotterebbe: queste cose Grillo le dice da sempre. Al che ribatterei: anche le sollecitazioni correttamente motivate - mi riferisco al Movimento 5 Stelle - se confusamente tradotte in azioni politiche non fanno che accelerare la dissoluzione. E l'altro amico allora aggiungerebbe: solo Renzi ha oggi la capacità di trasformare le critiche in azioni positive. Forse sì. Ma - chiederei - quanto l'Italia ha subìto per vent'anni e subisce ancora adesso non prende le mosse proprio dalla personalizzazione della politica - Berlusconi, Di Pietro, Fini, Monti, Grillo, ora Renzi - con forte accento salvifico e ineludibile riflusso anti-parlamentare? O non è piuttosto il momento di scendere in campo tutti, senza più affidarci a un uomo solo come accadde il 26 gennaio 1994? "Fai troppe domande e dai poche risposte", chioserebbe il primo. E ce ne andremmo tutti a letto.
Twitter @claudiogiua










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