venerdì 1 febbraio 2013

I molti dubbi sulla collocazione al Nasdaq di Facebook

Facebook venne quotata al Nasdaq il 18 maggio 2012, e fu un flop, con una perdita del 18 per cento sul prezzo di assegnazione nel giro di poche ore. Sul banco degli imputati finì subito Morgan Stanley, che aveva di fatto escluso le altre due grandi banche d'affari, Goldman Sachs e Jp Morgan Chase, dai rapporti con i potenziali investitori. Soprattutto, la stessa Morgan Stanley aveva ridotto le stime sui ricavi 2012 (da 5 miliardi a 4,85 miliardi di dollari: pare sulla scorta di informazioni confidenziale da dentro Facebook) all'immediata vigilia del collocamento, informando solo alcuni investitori e mantenendo il prezzo di collocamento al massimo previsto, cioè 38 dollari. Ad alcune società d'investimento la mancata informazione costò molto cara: più di 100 milioni di dollari complessivamente per Knight Capital, Citadel Securities, Ubs e Automated Trading Desk di Citigroup.

Al momento del collocamento, il quantitativo di azioni messe sul mercato era inoltre stato aumentato di un quarto. Il combinato disposto di questi fattori - mancata informazione a tutto il mercato e più stock di azioni disponibili al collocamento per i piccoli investitori - provocò il crollo sul prezzo di assegnazione.

Durante il debutto, il prezzo schizzò tuttavia a quota 45 dollari dal prezzo di partenza di 38, per poi scivolare progressivamente nei giorni sucessivi fino a 31 dollari. Morgan Stanley provò allora a intervenire sui prezzi delle azioni. Senza risultati. Il 20 agosto, a tre mesi dal collocamento, il prezzo scese a 20 dollari. A inizio settembre arrivò intorno a 18.

Proprio il 5 settembre Mark Zuckerberg assicurò alle autorità di controllo americane che non avrebbe venduto azioni in suo possesso per almeno un anno.

Nella stessa occasione Facebook annunciò il riacquisto di 101 milioni di titoli per un valore di circa 1,9 miliardi di dollari, da effettuare in coincidenza con l'emissione di titoli in precedenza vincolati. I punti principali dell'annuncio alla SEC sono questi:

• The company will withhold 101 million shares of stock (for tax witholdings) out of a total of 234 million shares that are owed to employees on October 25. These withheld shares will no longer be considered "shares outstanding," so the company's fully diluted share count and free float will be slightly lower than previously expected.
• CEO Mark Zuckerberg will not sell any more stock for at least a year (he sold $1.1 billion at $38 on the IPO). Directors Marc Andreessen and Donald Graham will soon be selling some stock (enough to pay the taxes owed on their stock grants)
• The company is accelerating the lock-up release for many employees to October 29. On October 29, 234 million employee-owned shares will become available for sale.
• The company will pay the tax bill associated with the stock grants with its own cash or its cash from its credit lines.
• The company will not do another stock offering in the next few months to raise cash to pay this tax bill.

Da allora il valore del titolo ha ripreso a risalire, fino agli attuali 30 dollari, motivati anche dalle buone previsioni di ricavi.

Per il proprio lavoro come collocatore, Morgan Stanley ricevette comunque circa 68 milioni di dollari, a cui s'aggiunsero 125 milioni realizzati insieme ad altre banche grazie al trading online della IPO.

In seguito molti dubbi sono stati sollevati anche dalla decisione, che era stata sollecitata da Morgan Stanley, di assegnare il 26% delle azioni ai piccoli investitori, mentre di solito negli USA ci si ferma al 15. La sensazione di molti è che questa scelta, ovviamente ben accolta dal mercato quando fu annunciata prima della quotazione, fosse invece in parte motivata dalla volontà di fare speculazione.

Sono state aperte circa quaranta cause nei confronti di Facebook per le modalità dell'IPO. In giugno Facebook ha chiesto che tutte le cause fossero unificate in un unico procedimento.
A metà dicembre Morgan Stanley ha ricevuto l'ordine di pagare una prima multa di 5 milioni di dollari in Massachussets, per aver violato nel caso Facebook le leggi che regolano le quotazioni di borsa. In particolare, l'accusa è di aver impropriamente influenzato il processo di offerta della azioni Facebook al mercato con una serie di attività m non lecite. Per esempio, un alto dirigente di Morgan Stanley avrebbe direttamente guidato Facebook nella comunicazione agli analisti dei propri numeri e risultati, procedura non consentita dalle leggi americane (il banchiere non avrebbe tuttavia avuto alcun contatto diretto con gli analisti).

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