Dall'Unità del 30 aprile 2013
di MARCO FOLLINI
Si sta discutendo molto in queste ore del carattere
«democristiano» di Enrico Letta e del suo governo.
Prevedo che se ne discuterà a lungo. Un po’ perché
la matrice è quella, e non la si può disconoscere.
E un po’ perché la questione democristiana, co-
me si sarebbe detto una volta, resta uno dei gran-
di nodi non sciolti dell’identità politica del no-
stro Paese.
Il nuovo premier, di suo, ha molto della mi-
gliore Dc. E l’operazione che lo ha lanciato, a
sua volta, ha caratteri che ricordano da vicino
alcuni tratti di quella lunga stagione politica.
È democristiana l’idea che si debba mediare,
includere, farsi flessibili e possibilisti, tentare le
strade del compromesso. È democristiana l’in-
vocazione di un rito di pacificazione che andreb-
be celebrato anche per espiare i troppi anni pas-
sati a combattere guerre che ricorderemo più
che altro per la loro inconcludenza. È democri-
stiana, se così posso dire, la stessa evocazione
della figura biblica di Davide.Un modo per ricor-
dare che la forza del potere sta soprattutto nella
suamitezza, nella consapevolezza del suo limite
fondamentale.
È ovvio che nella storia del Paese la Dc è stata
molte altre cose, e non tutte così nobili e positi-
ve. Ed è ovvio e risaputo che il suo ricordo è
controverso in quasi tutti i settori politici della
variegata maggioranza che oggi accorda la fidu-
cia al nuovo governo.E infatti il premier - demo-
cristianamente - evita con cura ogni ri-
chiamo al passato e si tiene prudentemente
alla larga da quella controversia. Per giunta si può
dire che Letta abbia un’età e un cursus honorum
che non lo dispongono più di tanto alla nostalgia, e
che lo inducono semmai a esplorare nuo-
ve frontiere. La sfida che ha davanti verte
sul futuro, sulla nuova Italia e sulla prossima
Europa. E verte sulle cifre dell’economia, che
sono comunque assai diverse da quelle dei tem-
pi della Dc. Dunque, lo si aiuta forse di più to-
gliendo dimezzo la suggestione dei ricordi stori-
ci e ponendo l’accento su quei problemi inediti
che faranno la differenza nei prossimi mesi.
Ma se l’argomento democristiano, a vent’an-
ni e più dalla fine di quella esperienza politica,
risuona ancora così forte nel discorso pubblico
del nostro Paese è segno che dietro quel gioco di
analogie c’è qualcosa di più profondo. Qualcosa
di cui mette conto parlare, e che magari dice
qualcosa anche a chi democristiano non è.
Io la vedo così. La Dc è stata a suo tempo un
grandioso tentativo di unificazione politica del
Paese. Lo è stata almeno nella sua parte miglio-
re, quella che si poneva costantemente il proble-
ma di allargare le basi dello Stato e di coinvolge-
re nelle istituzioni anche i propri avversari. Ver-
rebbe da dire che si sta parlando quasi di un’ov-
vietà. Ma per anni e anni quella ovvietà è stata
irrisa, demonizzata, raccontata in modo carica-
turale. La leggenda del consociativismo è servi-
ta a mettere al bando quelle basilari regole di
convivenza senza di cui un sistema politico non
può reggere.E infatti la cosiddetta «seconda Re-
pubblica» non ha retto.
Ora, è chiaro che il buonsenso di cui sopra
non apparteneva solo ai democristiani. Infatti
quella esigenza di coesione viene quotidiana-
mente avvertita anche in ambienti che la Dc
l’hanno a suo tempo contrastare e combattuta.
Ma l’attitudine a banalizzare le cose ha fatto sì
che quella regola di buonsenso e di coesione ve-
nisse ascritta soprattutto, in modi tipici quasi di
un riflesso condizionato, ai discendenti della
Dc. Su questo, insisto, dovrebbero riflettere tut-
ti quelli che non hanno militato neppure per un
giorno sotto le bandiere dello scudocrociato. E
soprattutto quelli che si sono illusi di buttarne al
vento le ceneri, evocando uno scontro gladiato-
rio di cui solo oggi misuriamo la drammatica
inanità.
Quanto a Letta, egli si trova oggi a capo del
governo nelmomento in cui le fortune dei demo-
cristiani «ufficiali», quelli a denominazione
d’origine controllata, sembrano al lumicino. E
anche questo dovrebbe far riflettere. Perché è il
segno che quei caratteri politici sono impressi
in profondità nell’animo del Paese. Quale che
sia l’angolo visuale da cui lo si osserva.
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