giovedì 31 gennaio 2013

Cosa serve per diventare italiano

Il ragionamento è ineccepibile: "Chi vuole diventare cittadino italiano deve conoscere la lingua. Perchè la legge del 2010 prevede che ci siano, oltre ai requisiti di lavoro e penali, anche quelli dell’integrazione sociale". Damiano Zecchinato, sindaco leghista di Vigonovo, conosce la legge e la applica: "Ho valutato io il signore marocchino che chiede la cittadinanza. Purtroppo parla un pessimo italiano e, soprattutto, non lo legge". Bollato come "Non Integrato", la sua richiesta è stata congelata. Se ne riparlerà dopo l'affidamento ai servizi sociali comunali, che gli insegneranno l'italiano. Essere qui da 21 anni, guadagnarsi da vivere in un'azienda metalmeccanica, pagare regolarmente le tasse non basta a Vigonovo, se non si legge l'italiano.

Vigonovo è alle porte di Padova anche se, per un accidente geopolitico, è in provincia di Venezia. Zona un tempo di povertà e fame feroci, di foltissime famiglie contadine e di qualche malavitoso, da lì dalla fine dell'Ottocento a ben oltre il secondo dopoguerra decine di migliaia di persone fuggirono all'estero e in luoghi d'Italia più ricchi. In cent'anni il Veneto contò quasi tre milioni e mezzo di emigrati. Nessun'altra regione italiana vide andar via così tanti propri figli. Lombardo del Varesotto, ne ho conosciuti tanti. Dei 980 abitanti del mio paese, all'inizio degli anni '70 almeno un quarto erano veneti: si chiamavano Bordignon, Zavagnin, Zampieri, Marchiorato, Zanatto, Bordin, Bacchin, erano originari dell'Alta Padovana, dell'Estense, di Cavarzere, della Bassa Vicentina. La prima generazione parlava solo veneto ed era rigorosamente analfabeta. Lavoravano in fabbrica o come facchini alla Malpensa e la sera coltivavano i campi delle famiglie autoctone: si fa per dire, la mia era arrivata a metà del secolo precedente dall'Umbria, fatta salire dai Visconti di Modrone a zappare la brughiera. C'erano anche frotte di pugliesi, al mio paese, e molti siciliani e campani, perfino una famiglia venuta dalla Maremma. Al censimento del 1981 risultò che in provincia di Varese vivevano 65mila immigrati dal Veneto, quasi tutti con prole nata in Lombardia.

Praticamente, tanti quanti gli abitanti del capoluogo. A nessuno di loro venne mai negato un diritto civile in quanto incapace di mettere insieme una frase in italiano. Figuriamoci scriverla.
Damiano Zecchinato sa che la storia della sua gente è questa. Sa che una richiesta di cittadinanza ha dietro un travaglio che si concretizza con una scelta di campo definitiva, con la condivisione di valori civili che sono quelli che ci siamo dati nel corso dei secoli. Quando un marocchino, un senegalese, un rumeno chiede la cittadinanza, in Comune dovrebbero organizzare una festa, chiamare quelli che passano davanti al municipio a brindare e a stringere la mano al membro della comunità che d'ora in poi sarà uno di loro a ogni effetto. Anche se il suo italiano zoppica.

I tanti Damiano Zecchinato d'Italia dovrebbero affacciarsi sul mondo, che cambia rapidamente a loro insaputa. Giorni fa Barack Obama ha lanciato la riforma dell'immigrazione negli Stati Uniti. La vuole semplificare. Per spiegare le sue intenzioni ha raccontato la storia di un brasiliano d'origine europea, Mike Krieger, che - ha detto - ha avuto un ruolo decisivo "nella creazione di Instagram, uno dei più innovativi prodotti digitali degli ultimi due anni (è un sistema di condivisione delle foto ndr). E' arrivato negli USA nel 2004, ha studiato, ha avuto coraggio di rischiare, ora costruisce valore per tutti noi lavorando per trasformare una grande idea in un grande business". Anche la vedova di Steve Jobs, Laurene Powell, considerata la donna più ricca di Silicon Valley, vuole che l'immigrazione si confermi caposaldo del modello di società americano. Ha finanziato un video che documenta le difficoltà dei giovani immigrati. Il titolo è "The dream is now". Anche il sogno del marocchino di Vigonovo è adesso.

Twitter @claudiogiua




mercoledì 23 gennaio 2013

La rubrica sul Foglio di Massimo Bordin

Si può archiviare la vicenda Storace. Pannella in un intervento a Radio Radicale, come di consueto non breve ma per l’occasione privo di infinite digressioni e rimandi, ha, credo, chiuso qualsiasi possibile polemica che non sia oziosa o strumentale.

In parole povere Storace gli è servito a far rimarcare, praticamente mettere agli atti, il comportamento di stampo comunista del Pd nei confronti dei Radicali. E il discorso che ne è seguito sulla continuità di un regime, come lo chiamano i Radicali, che ha nel Pci-Pds-Ds-Pd la sua vera spina dorsale si può discutere ma una sua logica ce l’ha. Quanto ai danni prodotti dalla accettazione del passaggio sul taxi nero, che poi non è nemmeno arrivato, forse per capire è bene non fermarsi alle baruffe internettiane dei Radicali.

Il sito di Nicola Zingaretti ieri riservava una sorpresa: non mancavano certo gli insulti a Pannella e ai “radical fascisti”, ma pure facendo la tara di qualche Radicale intervenuto propagandisticamente nel campo avversario, a pareggiare il conto c’erano molti interventi critici su come il Pd aveva gestito il rapporto coi Radicali. E venivano sicuramente da elettori e simpatizzanti di Zingaretti. Anche questo va tenuto in conto.

A cosa serve questo blog

Non sarà, per ora, un blog con una finalità che non sia quella di ospitare, copiati, contenuti che altrimenti non potrei segnalare sul mio tweet perchè ancora non trasferiti sul web. Mi riferisco soprattutto a contenuti giornalistici rimasti confinati sulla carta stampata.

Intanto, si parte. Poi, vedremo.

Claudio Giua