domenica 4 agosto 2013

Tre piccole storie di immigrazione e integrazione. Italiani tra gli italiani

Editoriale pubblicato da Gazzetta di Mantova, Alto Adige e altri quotidiani del Gruppo Espresso

di CLAUDIO GIUA 

Tre storie minime dedicate a Cecile Kienge, ministro della Repubblica, e anche a Roberto Maroni, presidente di regione, Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, Flavio Tosi, sindaco di una grande città, a tanti altri che, senza essere politici, quando salgono sull'autobus e trovano solo extracomunitari pensano spaventati: accidenti, una volta qui eravamo tutti italiani. E invece "siamo" tutti italiani. 

V. ha nove anni. E' arrivato dalla Cambogia che ne aveva due o due e mezzo, non si sa. I suoi genitori non hanno avuto il tempo di raccontarlo all'orfanotrofio, erano scomparsi chissà come quando V. aveva pochi giorni. E' piccolo, smilzo, sempre sorridente, fa amicizia facilmente con i compagni della elementare montessoriana. Va forte in matematica, ne sa già più lui di L., il fratello biondo che fa la seconda media, figlio naturale di papà e mamma, professionisti milanesi. V. gioca bene al pallone e ha la passione degli scacchi. Secondo il padre, il suo curioso accento meneghino "tende, chissà perchè, al bergamasco". V. è italiano a tutti gli effetti, passaporto compreso, e quando in classe s'annoia fa dei ghirigori che assomigliano all'"alfabeto" della lingua khmer. Cosa significano, V. non lo sa. 

Nemmeno K. è certo di quand'è nato. Se glielo chiedi, risponde: 24 anni fa, però in Bangladesh hanno problemi più urgenti del mantenere un'efficiente anagrafe. Nel 2005 K. arriva a Lampedusa su un barcone e risale la penisola fino alla Toscana. Un giorno chiede se c'è da lavorare alla signora che gestisce con la famiglia un piccolo circolo del tennis. Sì, se n'è appena andato l'uomo dei campi, vediamo se te la cavi. Da allora dalle 8 alle 20 spazza, riempie le buche, innaffia. Osserva attento come i maestri insegnano ai bambini e agli adulti. La sera prova i gesti sul campo buio più lontano, un amico gli mette una palla sul diritto e una sul rovescio, gliela alza e gliela smorza. K. impara in fretta, è veloce e potente, si capisce che tennisticamente non è il prodotto di una scuola ma ha voglia e grinta sopra la media. S'iscrive ai tornei, ai giudici-arbitro chiede sempre di giocare la sera tardi. Vince spesso. Al suo circolo c'è adesso la fila per palleggiare mezz'ora con lui. A nessuno importa se è italiano, ma K. vorrebbe che suo figlio - quando arriverà - lo fosse, "ma io gli insegnerò il bengalese". 

Del terzo, che chiamerò A., non so nulla perchè l'ho avuto alle mie spalle sul Frecciarossa ieri sera. Non lo vedevo, ma sentivo la sua voce giovane e profonda, parlava al cellulare con amici e colleghi. Era reduce, raccontava, da un qualche programma tv a Roma, la sera lo aspettavano per un evento in una città dell'Emilia. Un piacere sentirlo descrivere incontri e amori, programmi per agosto e viaggi di lavoro autunnali. Nessuna spocchia, molta ironia, un evidente desiderio di vivere il proprio tempo senza lasciare che scappi via inutilizzato. Con un collega ha a lungo parlato in inglese di clausole contrattuali, conti bancari, transazioni internazionali. Avevo pensato che A. fosse un attore o un manager. Quand'è sceso a Bologna, m'è passato accanto - alto e nerissimo, un Balotelli - e ho capito che è un giocatore di basket, forse di calcio. L'ultima chiamata è stata con la madre, con un tono improvvisamente un po' stridulo. L'ha bonariamente rimproverata perchè troppo ansiosa, come fanno tutti i ragazzi dell'età di A.: "Mamma, sono nato a Milano, non mi perdo certo a San Siro!". 

Chiunque m'abbia letto fin qui conosce storie così. Storie di amici, vicini, compagni di scuola dei figli. Ne potrebbero raccontare anche i consiglieri comunali leghisti di Cantù che hanno gettato le banane al ministro Kienge. Ai quali chiedo: non è anche vostra questa società stimolante e multiculturale che a me appare decisamente migliore di quella chiusa e cupa della mia adolescenza? Ancora: perchè V., cambogiano nato in Cambogia, è italiano mentre non lo è Rachele, nata a Roma, figlia di due indiani dello Sri Lanka che s'ammazzano di lavoro per farla studiare? Da ultimo: non credete che la stupidità e l'inciviltà siano limiti assoluti per chi fa politica?

Twitter @claudiogiua