Dalla Gazzetta di Mantova e da altri giornali del Gruppo Editoriale l'Espresso
di CLAUDIO GIUA
In effetti, c'è il rischio che l'indignazione sia usata come le pratiche religiose in altri tempi o ad altre latitudini: più che per glorificare il Creatore, per rallentare l'emancipazione di classi e società o la presa di coscienza dei guasti del potere. (Riferendosi agli operai e ai contadini tedeschi di 150 anni fa, Karl Marx scrisse: "La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli"). È vero che fremono frequentemente d'indignazione gli italiani che s'intendono di politica o ne orecchiano la sua versione spettacolarizzata dai talk show. S'indignano per vicende soltanto talvolta condivise. Se chi sta da una parte ce l'ha via via con il sindaco che organizza un ben oliato sistema tangentizio alle porte di Milano, con il presidente di una Camera che procura a un parente un pied-à-terre non suo a Monte Carlo, con la ministra furbacchiona che traffica con l'ICI, quelli dell'altra rispondono con crescente indignazione per il premier che frequenta le minorenni, per il capocorrente che vive in un appartamento con vista che qualcuno gli ha regalato a sua insaputa, per il leader secessionista che rimpinza con denari pubblici le tasche del figlio-pesce. I più indignati sono gli ultimi arrivati sul proscenio politico romano: ancora senza scheletri nell'armadio, s'indignano e non fanno sconti nemmeno ai propri compagni se non obbediscono alle tavole della legge dei due guru dalla grigia chioma ribelle. La loro indignazione è massima e, soprattutto, full time.
Al di là dei sospetti di strumentalizzazione politica dell'indignazione, resta il fatto che il flusso inesausto di informazioni rende sempre più difficile collocare correttamente fatti e fenomeni in una scala di interesse e priorità. Sono più rilevanti le ultime novità sul sequestro di Stato delle kazake e sul razzismo del padre del Porcellum che confonde umani e animali oppure le cifre sullo stato dell'economia? Per esempio, si fatica a scovare sui giornali che secondo gli economisti dell'Ocse è precario il 53 per cento dei pochi under 25 italiani così fortunati da avere un lavoro (la percentuale è quasi raddoppiata rispetto al 2000); che la disoccupazione crescerà almeno per tutto il 2014 fino a raggiungere il 12,6% dall'attuale 12,2%; che per Bankitalia i consumi scenderanno anche nel 2014, dopo il -2,3% di quest'anno e il -4,3% del 2012, perché resterà debole ''la spesa delle famiglie, frenata dall'andamento del reddito disponibile e dall'elevata incertezza sulle prospettive del mercato del lavoro''.
Dunque Manolo e l'ex capogruppo PDL hanno ragione? Di questo ci si dovrebbe indignare e occupare? Nonostante i miei dubbi, la risposta non può che essere no: gli impellenti problemi strutturali o anche solo contingenti italiani non devono sottrarci il diritto all'indignazione. La maturità civile del paese va di pari passo con la sua crescita sociale, che non sempre coincide con quella economica. Per quel che mi riguarda, continuerò a indignarmi. Su che cosa, ho l'imbarazzo della scelta. Come tutti.
Twitter @claudiogiua