domenica 30 giugno 2013
Mucchetti spiega perché Fiat si pappa RCS: per appiopparle la Stampa
giovedì 27 giugno 2013
Le nuove strategie di Murdoch a cavallo tra Axel-Springer e BuzzFeed
venerdì 21 giugno 2013
Google sulla graticola giudiziaria in Germania tenta di forzare la mano con gli editori
A German court order has been issued about Google auto-complete, which is when you put in a search term and it suggests different terms. This can be discriminitory, as in the case when searches for the President's wife's name brought up the word "prostitute". Google claimed it's an automated algorithm and it's not their fault, because no human manipulation is involved. The court said they are indeed responsible for their algorithms, as there are legal implications for offensive results, and ordered Google to clean up its auto complete function. This moves Google closer to being held responsible for some of its content.
E leggete anche qui:
The new law in Germany affecting copyright (existing German copyright laws and snippet length) will be in place as of August 1. It will be interesting to see how Google positions itself in regards to that new law. German publishers aren't ready to respond as one body - that may be a year down the road.
There is news from Google that will be official within a week that an opt-in version for publishers will be released for Google news. If you don't opt in you won't be indexed as of August 1. This is going to cause an uproar. It's not public yet so no one knows officially. It's a very aggressive move. People will rant and rave but in the end everyone will opt-in.
Sono due notizie/indiscrezioni - redatte al termine di una conf call europena cui ho partecipato - che indicano come:
1. sulla questione di Google e della privacy se si vuole si può fare qualcosa anche a livello giudiziario e non solo di authority (Repubblica ne ha scritto oggi qui http://t.co/sx1Je0g4VL )
2. il primo agosto scoppierà la guerra nucleare tra editori e Google in Germania.
sabato 15 giugno 2013
venerdì 14 giugno 2013
"Nel nome di mia mamma, fermate le stragi negli Stati Uniti, basta al libero commercio delle armi"
My mom, Dawn Hochsprung, was the principal at Sandy Hook Elementary School in Newtown, Connecticut.
Six months ago today, she was shot and killed in her school, along with five of her coworkers and 20 of her students.
In the weeks and months after that horrible day, lawmakers from across the country told us, the families of the victims, that they'd take action to make our communities safer. What we found out is that, for some of our members of Congress, those were empty promises.
And in those six months, thousands more people have been killed by guns.
I've been doing everything I can to reach out to members of Congress. But my voice isn't enough. Today, on the six-month anniversary of Newtown, every single person who cares about reducing gun violence in America needs to recommit to this fight.
More than 1.4 million Americans have said they're with us in the fight to reduce gun violence -- add your name today.
In her last minutes, Mom was just as brave and caring as I knew her to be. After telling everyone to hide, she went running into the hallway, saw the gunman, yelled and lunged at him in an effort to protect the school she loved.
I miss her every second of every day. I'm getting married in just a few weeks -- to a guy she was rooting for, in a dress we picked out together -- but because a dangerous man got his hands on a gun, my mom won't be there to see it.
I'm still grieving -- and I'm not alone. On average, 33 Americans are killed by a gun every single day. That's 33 new families a day who mourn like I do.
If a background check saves even one life, and keeps even one family from hurting like this, then this fight will all be worth it. I think my mom would like to know that the tragedy that fell on Newtown meant that another tragedy could be stopped before it even started.
I'm asking you to join me today, six months after that horrible day, to keep this fight going -- take action for my mom, Dawn, and the 25 other people who we lost in December.
Thanks,
Erica Lafferty
Quando l'Italia provò a diventare Silicon Valley
A colpirmi sono state però le storie raccontate in "Avevamo la luna". Storie di uomini maturi ma vitali e fantasiosi come Adriano Olivetti, storie di ragazzi più "affamati e folli" dei neolaureati che, quattro decenni più tardi, avrebbero ascoltato rapiti l'appello di Steve Jobs a Stanford. Giovanni De Sandre e Gastone Garzera, per esempio, avevano vent'anni quando misero mano al Programma 101 sentendosi "come Michelangelo di fronte al marmo: nessun modello se non la nostra idea di sostituire i metri cubi necessari per contenere la memoria di un calcolatore elettronico con una semplice ed elegantissima corda di pianoforte attorcigliata su se stessa, lungo la quale fissare i microprocessori". Da lì - era il 1960 - al personal computer fu solo questione di tempo.
Il bello è che De Sandre e Garzera trovarono qualcuno che gli diede così retta da far loro concretizzare l'intuizione di mettere al centro del modello protodigitale il software e non la macchina. Si respiravano speranza e fiducia, allora, mentre oggi tocchiamo con mano la delusione e lo scoramento di intere generazioni.
Ci sono in Italia nel 2013 giovani capaci d'essere protagonisti dell'innovazione? Ovviamente sì: a me capita talvolta di conoscerne qualcuno. Ne ho trovati a New York, a Berlino, a Silicon Valley forse più che a Milano. Fuorusciti digitali, sanitari, culturali. Da una parte, è ovvio, l'emigrazione degli affamati e dei folli è conseguenza dell'avvenuta integrazione europea dei cervelli e dei comportamenti. Per studenti universitari e neo-laureati Roma o Helsinki pari sono. A cena con quattro coppie di amici, ho scoperto che tutte hanno uno o due figli all'estero: "Francesca, la più grande, era a Granada per l'Erasmus. Doveva tornare in luglio e invece sta mettendo su una start-up con dei colleghi a Madrid". "Ha fatto così anche Matteo: a Tolosa per un anno, lo hanno chiamato a Ginevra per il master pagato in odontoiatria". È l'Erasmus Generation citata da Enrico Letta nel suo discorso alle Camere.
Da un altro punto di vista, la fuga dall'Italia delle teste migliori è conseguenza sia del prosciugamento delle risorse destinate alla ricerca (un fenomeno iniziato negli anni descritti da Mezza ma perfezionato da ultimo da ministri dell'Istruzione e dell'Università della levatura e della tempra di Moratti, Fioroni e Gelmini), sia della crisi che sta massacrando le scuole a ogni livello.
Se - com'è giusto - la priorità assoluta dell'esecutivo Letta è ridurre la disoccupazione giovanile tout court, la tutela e la promozione dei migliori rischiano di diventare l'eccezione. I nipoti di De Sandre e Garzera potrebbero perfino essere all'altezza dei nonni, ma restando qui - ora - non avrebbero alcuna possibilità di dimostrarlo. "Purtroppo, il miracolo quotidiano nazionale è la sopravvivenza", mi ha detto un giovane manager di Google (un piemontese che lavora a Londra), riferendosi "ai veri eroi italiani, quelli che riescono a mandare avanti la baracca nonostante tutto, gli imprenditori che esportano in condizioni infrastrutturali scoraggianti, i ragazzi che sbarcano a Mountain View con idee eccellenti che a Padova o a Salerno non sanno come farsi finanziare".
Invece, è questo il momento giusto per puntare sull'innovazione e creare le condizioni per ripartire non appena la crisi mollerà la presa. Persino i sindaci neoeletti, quelli del 16-0, possono molto. Alcuni di loro sono abbastanza giovani o hanno l'esperienza internazionale - come Ignazio Marino - per farsi carico di un nuovo ecosistema che aiuti l'imprenditoria creativa ad affermarsi. A loro suggerisco di leggere un altro libro da poco in vendita, "Tech and the City. Startup a New York un modello per l'Italia" di Alessandro Piol e Maria Teresa Cometto. Così, per provare a cambiare.
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