domenica 30 giugno 2013

Mucchetti spiega perché Fiat si pappa RCS: per appiopparle la Stampa

La Fiat torna ad avere oltre il 20% di
Rcs Mediagroup, la società che edita il
Corriere della Sera. Più o meno si tratta
della stessa partecipazione che deten-
ne fino al 1998, quando ne cedette una
quota a CesareRomiti a titolo di parzia-
le liquidazione dei suoi 24 anni alla gui-
da del gruppo torinese.
  
La storia si ripete, dunque? Probabil-
mente no. E non perché, quando si ri-
pete, la storia lo fa in forma di farsa. È
difficile che, questa volta, la storia si
ripeta perché tutto è cambiato rispet-
to al 1984 allorché la Fiat divenne
l’azionista di riferimento dell’ex grup-
po Rizzoli-Corriere della Sera con
l’aiuto di Mediobanca e l’avallo della
Banca d’Italia. Il governatore Carlo
Azeglio Ciampi, non dimentichiamo-
lo, era fedele alla legge bancaria del
1936, che non ammetteva le banche
nell’azionariato dei giornali e al tem-
po stesso non se la sentiva di favorire
una proprietà diffusa in capo al Corrie-
re come suggeriva Cesare Merzagora
per il timore che i residui della loggia
massonica deviata P2 potessero tenta-
re di riprendersi il giornale con occul-
te scalate.

Nel 1984 l’Italia stava andando be-
ne. La sua editoria si apriva a una sta-
gione felice, inondata di pubblicità.
La sfida della tv commerciale era agli
albori. Internet interessava solo le uni-
versità americane. Oggi l’editoria è al
tracollo. E non ha un’idea chiara su
che cosa fare per conquistarsi un nuo-
vo destino in un mondo dove Google
ha cambiato tutto: la comunicazione,
la pubblicità e, attenzione, anche la
politica come dimostra l’uso del mi-
crotargeting nella campagna elettora-
le di Obama.


Allora la Fiat era l’Italia, grondava
profitti e controllava il 60% del merca-
to dell’auto.Oggi è una multinaziona-
le che insegue gli aiuti di Stato in giro
per il mondo. Non ha più una funzio-
ne nazionale. Né la potrebbe avere
nel momento in cui non chiude una o
due delle sue fabbriche italiane solo
perché, come ha scritto Andrea Ma-
lan sul 24Ore, è al momento più conve-
niente approfittare della cassa inte-
grazione. E se i numeri hanno ancora
un senso, non saranno i 90milioni in-
vestiti in via Solferino, anziché in ri-
cerca e sviluppo nell’auto, a restituire
il rango di un tempo.

La storia della presenza Fiat in Rcs
Mediagroup, d’altra parte, non è pri-
va di lati oscuri: l’avventura disastro-
sa nel cinema affidata a Montezemo-
lo, protetto di Gianni Agnelli; la ces-
sione ad alto prezzo del disastrato
Gruppo editorialeFabbri a Rcs da par-
te dell’Ifi o, per venire a tempi più re-
centi, il tentativo di affidare la direzio-
ne del Corriere a Carlo Rossella, allora
presidente della berlusconiana Medu-
sa, da parte dello stesso Montezemo-
lo. Ciò detto, il raddoppio della Fiat
sulla ruota del Corriere non può essere
liquidato con i paragoni storici. Baste-
rebbe, ad allontanarne l’ombra, che
John Elkann dimostrasse nei fatti di
essere diverso dal nonno e dallo
«zio»...  In ogni caso, non si compren-
de la questione Rcs restando, nel
2013, dentro i recinti del passato.
La soluzione ideale era e resta quel-
la di costruire un veicolo finanziario
che traghetti la Rcs, o almeno il Corrie-
re, verso una proprietà diffusa protet-
ta da una golden share in mano a un
comitato di garanti sul modello
dell’Economist e della Reuters. Ma la
cultura politica e imprenditoriale ita-
liana resta padronale sempre e co-
munque, la qual cosa non è un male
nelle multinazionali tascabili del
Quarto capitalismo, ma lo diventa nel-
la grande editoria qualora questa sia
strutturalmente priva, come accade
in Italia, di editori puri.

Alla soluzione ideale si preferisce
una soluzione realista. Senonché il
realismo si rivela prezioso solo quan-
do costruisce un ponte verso le solu-
zionimigliori.Viceversa, se diventa fi-
ne a se stesso, finisce con il lasciare
incancrenire i problemi. E la storia di
via Solferino lo dimostra oltre ogni ra-
gionevole dubbio.

Stiamo dunque fuori dai recinti del
passato, ma dentro quelli del reali-
smo. Che cosa vediamo, per comincia-
re? Vediamo una Fiat che in prima
battuta non sarà sola. Con il 20%, in
presenza di altri azionisti rotondi,
non si comanda. Si presiede. A meno
che gli altri soci eccellenti non abdi-
chino alle loro responsabilità, paghi
di potersi nascondere dietro la figura
di Elkann.

Tra questi soci eccellenti risaltano
Mediobanca e Intesa Sanpaolo, ma an-
che Della Valle, Unipol, il Banco Popo-
lare. Tranne che per il signor Tod’s,
cito le ragioni sociali e non le persone
deliberatamente: le responsabilità du-
rano oltre i responsabili manageriali
che cambiano. Quando si sarà consu-
mata l’asta dei diritti post aumento di
capitale, vedremo le diverse consi-
stenze dei soci. Chi sta con chi e co-
me. Ma è chiaro fin d’ora che le tre
banche azioniste avranno una specia-
le responsabilità. Non foss’altro per-
ché, specialmente Intesa, sono anche
i soggetti creditori di una società
sull’orlo dell’abisso.

In prospettiva è bene che le banche
non abbiano azioni dei giornali. Que-
sto, sia detto di passata, esige il Fondo
monetario internazionale dalla Gre-
cia. Ma noi non siamo greci e taluni
industriali - non tutti - hanno dato pro-
ve al Corriere peggiori di quelle di talu-
ni banchieri - non tutti.  Dunque, le
banche devono fare adesso la loro par-
te, senza fuggire.

Alla Fiat viene attribuito un piano
industriale che prevede lo spezzatino
del gruppo Rcs.Niente di male, in teo-
ria. In pratica, il diavolo si nasconde
nei dettagli. E non basterà agitare il
fantasma di Berlusconi per assolvere
tutti i peccati della finanza, dell’im-
prenditoria e della politica sul fronte
dell’informazione.

Anche perché il fantasma di Berlu-
sconi non può onestamente fare pau-
ra a chi osservi i conti del Giornale e
della Mondadori e pure quelli di Me-
diaset. Nell’anno di grazia 2013, l’ex
premier non sarebbe tecnicamente in
grado di accollarsi il rischio Rcs. I
principali dettagli su cui si gioca il fu-
turo del primo giornale italiano sono
due: a) il destino aziendale del Corrie-
re; b) la sua governance.

Il progetto più gettonato almomen-
to prevede lo scorporo del quotidiano
di via Solferino e il suo accoppiamen-
to con la Stampa: una nuova società
alla quale parteciperebbe, al 29%, la
Newscorp di Rupert Murdoch. Po-
trebbe funzionare sul piano industria-
le o forse no. La Stampa si ridurrebbe
a mero quotidiano regionale? A quali
prezzi avverrebbe il conferimento, do-
po l’amara esperienza del Gruppo edi-
toriale Fabbri?

Certo, Murdoch ha forse le spalle ab-
bastanza larghe per contrastare il pre-
dominio di Google. Ma il grande im-
prenditoreMurdoch è anche un signo-
re che esercita il potere in modi assai
discutibili, e fa accordi sopra e sotto il
banco con la politica. In ogni caso, per
l’establishment italiano, sarebbe una
dichiarazione di impotenza, un esito
triste. Il cedimento a una concentra-
zione di potere editoriale analoga, se
non superiore, a quella che esiste in
capo a Berlusconi e per giunta in capo
a un signore straniero che fa la “sua”
politica estera. Ma forse, di fronte al
microtargeting di Google, i criteri an-
titrust tradizionali e pure i confini sto-
rici delle diplomazie rivelano l’usura
del tempo. Quando Eric Schmidt dà a
Barack Obama l’organizzazione ma-
nageriale e le risorse informative di
Google che consentono di raggiunge-
re - a lui che è amico di Schimdt e non
al rivale - tutte le persone conmessag-
gi mirati perforandone la privacy,
non c’è più nemmeno un Murdoch
che tenga. 

Eallora la seconda questione 
- la governance del Corriere, ma
questo vale in generale per tutti ime-
dia che hanno una capacita di influen-
za sull’opinione pubblica - diventa
centrale.

Chi detterà la linea del Corriere sul
ruolo dell’Italia nelle battaglie della
pace e della guerra? Murdoch? I suoi
amici cinesi o americani o inglesi? O
si faranno sentire i Bazoli, gli Elkann,
i Nagel, i Della Valle? E come?
Il Corriere ha oggi un direttore che,
da figlio della tradizione migliore (c’è
anche una tradizione scadente in cer-
te stanze), ha saputo in diverse occa-
sioni tenere la schiena diritta,ma che
da parecchi mesi è sottoposto a
un’azione di logoramento proprio dal-
la Fiat.

Fatto l’aumento di capitale, sta og-
gi a chi ha preso l'iniziativa sciogliere
le incertezze: dica se intende procede-
re da solo o con altri e a quali condizio-
ni e poi confermi, se crede, la fiducia a
Ferruccio de Bortoli, ovvero indichi
un nuovo timoniere che sia garante
del nuovo corso e con ciò inizi a farsi
misurare. Non vorremmo che il confe-
rimento della Stampa al Corriere fosse
come quello delle centrali elettriche
Fiat alla Montedison, che fu il pesante
pedaggio pagato dall’Electricité de
France per potersi mangiare per inte-
ro Foro Bonaparte.

giovedì 27 giugno 2013

Le nuove strategie di Murdoch a cavallo tra Axel-Springer e BuzzFeed



Dal Financial Times del 27 luglio 2013
di Andrew Edgecliffe-Johnson
 

Rupert Murdoch’s newspapers, which will spin off from his 21st Century Fox entertainment businesses on Friday, are becoming “platforms” from which to launch products for smartphones, digital subscribers and international markets, according to the new News Corp’s chief executive. Robert Thomson predicted “a year or two – no more – of transformation”, including “astute and acute” cost-cutting, investment in digital initiatives and collaborations between divisions. “These papers are no longer newspapers; they’re platforms,” he told the Financial Times.

He declined to echo Mr Murdoch’s statement last year that print losses would no longer be tolerated and would not detail the scale of planned job cuts from the integration of Dow Jones and the Wall Street Journal, but said the company’s titles must become more profitable.

The new company, whose assets range from a US coupons company to Foxtel pay-TV in Australia, was working on projects including a plan for the New York Post to compete nationally with digital news and entertainment brands such as Buzzfeed, he disclosed.

“Some of the most successful recent start-ups are basically ersatz tabloid journalism,” he said. “If we can’t do it better than they can, then we’re not as good as we think we are.”
Its UK papers were looking to repackage their football coverage for fans in Asia and Latin America. “Britain is to football what Saudi Arabia is to oil and we have a gusher coming out of London of fantastic football content".

HarperCollins, the publisher, was similarly talking to executives from the Wall Street Journal and Amplify, its nascent digital education business, about products for teaching business English and translations of English books to sell from the Journal’s website in China. Amplify, built from 2011’s $390m acquisition of Wireless Generation, is expected to lose $180m this year. Mr Thomson described its plan to create a digital curriculum for school maths, English and science as “an expensive proposition”, but one with a potential $17bn market opportunity.

News Corp competes with Pearson, owner of the Financial Times, in financial news, publishing and education. News Corp has made past attempts to encourage its brands to share content and he acknowledged that many media companies had failed to achieve the synergy benefits they touted.

“Almost to use the word synergy is a sin because it’s been so overused and abused,” he said, but said that the smaller company would encourage a stronger focus on collaboration. “We will have a single cost of content and multiple opportunities to profit by repurposing it,” he said.

Mr Thomson defended print newspapers as “ever more premium” means for advertisers to reach highly engaged readers, but said it now planned to use its scale in markets like the UK to secure reader offers from retailers and others to sweeten digital subscription packages.

Mr Thomson, the former managing editor of the Wall Street Journal and a one-time US managing editor of the FT, said it had been “less clear” how mass-market newspapers could charge online when so much general news was available for free, but described the planned promotions for digital subscribers as a solution. At a time when commoditised content was putting advertising rates were under “enormous” pressure, “you’ll be creating a popular paper demographic which is a paying demographic”.

He confirmed that News Corp could use its $2.6bn of net cash for acquisitions, adding that it could borrow more if needed. He played down expectations of a bid for another newspaper such as the Los Angeles Times. Any acquisition must complement existing assets, he added: “We can’t buy something for it to exist in splendid isolation.” Deals and investments could expand its exposure to Latin America or Asian markets from China to Vietnam, he added.

Acquisitions could help Dow Jones sharpen its rivalry with Bloomberg and Thomson Reuters, build on the REA online classifieds business in Australia or provide sports content for “second screen” mobile devices, echoing its recent Premier League rights deal in the UK, he said.

The spin-off takes place almost two years after News Corp closed the News of the World over phone hacking at the UK Sunday tabloid. Mr Thomson predicted “a certain amount of publicity over the coming months” as former editors and reporters including Rebekah Brooks and Andy Coulson face trial, but said News Corp had invested heavily in compliance since, adding: “One must presume innocence until or unless proven guilty.”


venerdì 21 giugno 2013

Google sulla graticola giudiziaria in Germania tenta di forzare la mano con gli editori

Leggete qui:

A German court order has been issued about Google auto-complete, which is when you put in a search term and it suggests different terms. This can be discriminitory, as in the case when searches for the President's wife's name brought up the word "prostitute". Google claimed it's an automated algorithm and it's not their fault, because no human manipulation is involved. The court said they are indeed responsible for their algorithms, as there are legal implications for offensive results, and ordered Google to clean up its auto complete function. This moves Google closer to being held responsible for some of its content.

E leggete anche qui:

The new law in Germany affecting copyright (existing German copyright laws and snippet length) will be in place as of August 1. It will be interesting to see how Google positions itself in regards to that new law. German publishers aren't ready to respond as one body - that may be a year down the road.

There is news from Google that will be official within a week that an opt-in version for publishers will be released for Google news. If you don't opt in you won't be indexed as of August 1. This is going to cause an uproar. It's not public yet so no one knows officially. It's a very aggressive move. People will rant and rave but in the end everyone will opt-in.

Sono due notizie/indiscrezioni - redatte al termine di una conf call europena cui ho partecipato - che indicano come:

1. sulla questione di Google e della privacy se si vuole si può fare qualcosa anche a livello giudiziario e non solo di authority (Repubblica ne ha scritto oggi qui http://t.co/sx1Je0g4VL )

2. il primo agosto scoppierà la guerra nucleare tra editori e Google in Germania.

Il mito di Wimbledon nei ricordi e nelle cronache di Gianni Clerici

Sui giornali locali del gruppo Espresso il 21 giugno 2013

di CLAUDIO GIUA

venerdì 14 giugno 2013

"Nel nome di mia mamma, fermate le stragi negli Stati Uniti, basta al libero commercio delle armi"

La commovente lettera della figlia di una delle vittime - un'eroina, di fatto - della strage nella scuola Sandy Hook nel Connecticut l'inverno scorso. Chi la scrive ricorda la madre e fa un appello affinché l libera vendita delle armi sia finalmente regolata.

My mom, Dawn Hochsprung, was the principal at Sandy Hook Elementary School in Newtown, Connecticut.

Six months ago today, she was shot and killed in her school, along with five of her coworkers and 20 of her students.

In the weeks and months after that horrible day, lawmakers from across the country told us, the families of the victims, that they'd take action to make our communities safer. What we found out is that, for some of our members of Congress, those were empty promises. 

And in those six months, thousands more people have been killed by guns.

I've been doing everything I can to reach out to members of Congress. But my voice isn't enough. Today, on the six-month anniversary of Newtown, every single person who cares about reducing gun violence in America needs to recommit to this fight.

More than 1.4 million Americans have said they're with us in the fight to reduce gun violence -- add your name today.

In her last minutes, Mom was just as brave and caring as I knew her to be. After telling everyone to hide, she went running into the hallway, saw the gunman, yelled and lunged at him in an effort to protect the school she loved.

I miss her every second of every day. I'm getting married in just a few weeks -- to a guy she was rooting for, in a dress we picked out together -- but because a dangerous man got his hands on a gun, my mom won't be there to see it. 

I'm still grieving -- and I'm not alone. On average, 33 Americans are killed by a gun every single day. That's 33 new families a day who mourn like I do. 

If a background check saves even one life, and keeps even one family from hurting like this, then this fight will all be worth it. I think my mom would like to know that the tragedy that fell on Newtown meant that another tragedy could be stopped before it even started.

I'm asking you to join me today, six months after that horrible day, to keep this fight going -- take action for my mom, Dawn, and the 25 other people who we lost in December.

Thanks,

Erica Lafferty

Quando l'Italia provò a diventare Silicon Valley

Dalla Gazzetta di Mantova
dall'Alto Adige
e da altri quotidiani del Gruppo Espresso

del 14 giugno e successivi

di CLAUDIO GIUA

"Avevamo la luna" è l'immaginifico titolo di un libro fresco di stampa. Parla di come cinquant'anni fa l'Italia fosse a un passo dal diventare la culla dell'innovazione globale, il laboratorio dove progettare e realizzare i prototipi di un futuro che qui, nel nostro paese, sapevamo immaginare meglio di chiunque altro al mondo. Se le cose sono andate diversamente è per motivi e responsabilità che l'autore, Michele Mezza, individua e descrive.

A colpirmi sono state però le storie raccontate in "Avevamo la luna". Storie di uomini maturi ma vitali e fantasiosi come Adriano Olivetti, storie di ragazzi più "affamati e folli" dei neolaureati che, quattro decenni più tardi, avrebbero ascoltato rapiti l'appello di Steve Jobs a Stanford. Giovanni De Sandre e Gastone Garzera, per esempio, avevano vent'anni quando misero mano al Programma 101 sentendosi  "come Michelangelo di fronte al marmo: nessun modello se non la nostra idea di sostituire i metri cubi necessari per contenere la memoria di un calcolatore elettronico con una semplice ed elegantissima corda di pianoforte attorcigliata su se stessa, lungo la quale fissare i microprocessori". Da lì  - era il 1960 - al personal computer fu solo questione di tempo. 

Il bello è che De Sandre e Garzera trovarono qualcuno che gli diede così retta da far loro concretizzare l'intuizione di mettere al centro del modello protodigitale il software e non la macchina. Si respiravano speranza e fiducia, allora, mentre oggi tocchiamo con mano la delusione e lo scoramento di intere generazioni.

Ci sono in Italia nel 2013 giovani capaci d'essere protagonisti dell'innovazione? Ovviamente sì: a me capita talvolta di conoscerne qualcuno. Ne ho trovati a New York, a Berlino, a Silicon Valley forse più che a Milano. Fuorusciti digitali, sanitari, culturali. Da una parte, è ovvio, l'emigrazione degli affamati e dei folli è conseguenza dell'avvenuta integrazione europea dei cervelli e dei comportamenti. Per studenti universitari e neo-laureati Roma o Helsinki pari sono. A cena con quattro coppie di amici, ho scoperto che tutte hanno uno o due figli all'estero: "Francesca, la più grande, era a Granada per l'Erasmus. Doveva tornare in luglio e invece sta mettendo su una start-up con dei colleghi a Madrid". "Ha fatto così anche Matteo: a Tolosa per un anno, lo hanno chiamato a Ginevra per il master pagato in odontoiatria". È l'Erasmus Generation citata da Enrico Letta nel suo discorso alle Camere.

Da un altro punto di vista, la fuga dall'Italia delle teste migliori è conseguenza sia del prosciugamento delle risorse destinate alla ricerca (un fenomeno iniziato negli anni descritti da Mezza ma perfezionato da ultimo da ministri dell'Istruzione e dell'Università della levatura e della tempra di Moratti, Fioroni e Gelmini), sia della crisi che sta massacrando le scuole a ogni livello. 

Se - com'è giusto - la priorità assoluta dell'esecutivo Letta è ridurre la disoccupazione giovanile tout court, la tutela e la promozione dei migliori rischiano di diventare l'eccezione. I nipoti di De Sandre e Garzera potrebbero perfino essere all'altezza dei nonni, ma restando qui - ora - non avrebbero alcuna possibilità di dimostrarlo. "Purtroppo, il miracolo quotidiano nazionale è la sopravvivenza", mi ha detto un giovane manager di Google (un piemontese che lavora a Londra), riferendosi "ai veri eroi italiani, quelli che riescono a mandare avanti la baracca nonostante tutto, gli imprenditori che esportano in condizioni infrastrutturali scoraggianti, i ragazzi che sbarcano a Mountain View con idee eccellenti che a Padova o a Salerno non sanno come farsi finanziare". 

Invece, è questo il momento giusto per puntare sull'innovazione e creare le condizioni per ripartire non appena la crisi mollerà la presa. Persino i sindaci neoeletti, quelli del 16-0, possono molto. Alcuni di loro sono abbastanza giovani o hanno l'esperienza internazionale - come Ignazio Marino - per farsi carico di un nuovo ecosistema che aiuti l'imprenditoria creativa ad affermarsi. A loro suggerisco di leggere un altro libro da poco in vendita, "Tech and the City. Startup a New York un modello per l'Italia" di Alessandro Piol e Maria Teresa Cometto. Così, per provare a cambiare.
Mail c.giua@kataweb.it
Twitter @claudiogiua