giovedì 7 marzo 2013

Ecco perché Rodotá potrebbe essere l'uomo che prova a trovare una sintesi tra PD e grillini

Sull'Espresso in edicola dall'8 marzo 2013

di MARCO DAMILANO

Da tempo propone di aggiungere
alla Costituzione un articolo 21-
bis sul diritto all’informazione
on line: «Tutti hanno eguale di-
ritto di accedere alla Rete Inter-
net».

Stefano Rodotà, 80 anni il prossimo 30
maggio, non ha nulla a che fare con i conver-
titi dell’ultima ora al grillismo. Da giurista,
politico (deputato della Sinistra indipenden-
te e poi del Pds dal 1979 al 1994), garante
della Privacy e intellettuale si spende da de-
cenni per studiare come allargare le frontiere
della democrazia. Gira l’Italia per parlare del
suo ultimo libro (“Il diritto di avere diritti”,
pubblicato da Laterza). E accoglie divertito
la mobilitazione che lo candida come presi-
dente del Consiglio ideale di un governo
Pd-5 Stelle o, più seriamente, presidente della
Repubblica dopo Giorgio Napolitano:
«Mantengo un giusto distacco ironico. Cer-
to, gli attestati di stima mi fanno piacere».
Nella sua casa romana riflette sulla lezione
del voto del 24-25 febbraio: il disastro della
Seconda Repubblica, ritardi della sinistra, e
potenzialità e i rischi del Movimento 5 Stelle.
E l’agenda di un possibile «governo di rico-
struzione morale e civile del Paese».

Lei ha scritto che con il voto è crollata la
Seconda Repubblica e che ora siamo sotto
le macerie. Perché è finito quel sistema?

«È una crisi che arriva da lontano.
Quando sono diventato deputato, c’era-
no ancora un senso comune, un ricono-
scimento reciproco che coinvolgeva tutte
le forze, poi ridotto a caricatura con la
condanna del consociativi-
smo che pure c’era. Avevo
stretto amicizia con il capo-
gruppo del Msi Alfredo Paz-
zaglia, inflessibile quando si
trattava di difendere le pre-
rogative del Parlamento.
Poi negli anni Ottanta arri-
va il decisionismo craxiano,
la politica ha l’impressione
di non farcela più e delega
agli ingegneri istituzionali
la cura dei mali».

Quel sistema, però, era profon-
damente in crisi.

«Certo, già nei primi anni Ot-
tanta i deputati della Sinistra indipendente
avevano proposto per la riforma elettorale il
modello tedesco. La razionalizzazione del
sistema era necessaria, la semplicazione
senza nessuna mediazione ha provocato i
mali successivi. Le forzature politiche, sia
chiaro, sono benvenute e a volte necessarie.
Ma chi ha ritenuto che il cambiamento po-
tesse essere affidato alle parole d’ordine del
bipolarismo e della scelta diretta dei gover-
nanti ora condanna il bipolarismo forzoso.
La cosiddetta Seconda Repubblica è stata un
disastro. E il Paese in questi vent’anni si è
spaccato più profondamente di prima, quan-
do c’era la guerra fredda. Tra laici e cattolici:
sulla legge 40 sulla procreazione ci sono
stati scontri ideologici più duri di quelli sulla
legge 194 sull’aborto quando c’era la Dc. O
sugli extracomunitari: quando da giovane da
Cosenza andavo a Torino leggevo i cartelli,
“qui non si aftta ai meridionali”, ma nessun
partito si era trasformato in imprenditore
politico della paura come ha fatto la Lega».

La vittoria di Grillo è a reazione dell’anti-politica
a questo disastro?

«Più che il trionfo dell’anti-politica, io vedo
nel voto una forte richiesta di altra politica.
Già le manifestazioni del 2010-2011, il po-
polo viola, e donne di “Se non ora quando?”,
avevano dimostrato che la Rete era in grado
di organizzare una piazza non solo virtuale
ma fisica, partendo da forze in apparenza
marginali. Fino a quel momento solo i gran-
di partiti, i sindacati e la Chiesa erano riusci-
ti a farlo. Il Paese si è messo in movimento,
sulla base di contenuti specici e con una
partecipazione diretta e spontanea senza
precedenti. La tv aveva svuotato le piazze, la
Rete le ha di nuovo riempite, come era suc-
cesso a Seattle nei cortei contro il Wto del
1999. Una richiesta di altra politica che ha
avuto esiti importanti, penso al risultato a
sorpresa per tutti gli osservatori dei referen-
dum su acqua pubblica, nucleare e legittimo
impedimento. Rifiutai di avere un ruolo nel
comitato sull’acqua perché era giusto che
rimanesse un movimento non personalizza-
to, senza leader Un dato che i partiti, com-
preso il Pd, non hanno ritenuto rilevante.
Bersani fece una scelta forte trascinando un
partito riluttante a dire sì ai referendum. Ma
poi c’era un mondo da comprendere e da
incontrare, bisognava aprire un canale di
comunicazione. Non è stato fatto».

Lo slogan del Movimento 5 Stelle recita che
“uno vale uno”: così per gli elettori ma anche
per gli eletti. Per Casaleggio la democrazia
rappresentativa va rovesciata, i partiti van-
no sostituiti con i comitati dei cittadini...

«Nella Rete tutti in partenza sono uguali, ma
può svilupparsi una predisposizione a inve-
stiture di capi carismatici. La Rete dà l’illu-
sione della sovranità di ciascuno, ma produ-
ce leadership. Il campo della battaglia per la
democrazia elettronica è aperto, nessun esito
è escluso, dal fascismo digitale al socialismo
realizzato. Il punto è: chi pone la domanda,
e quando? Zuckerberg ha provato a fare un
referendum tra gli utenti di Facebook, ma è
stato costretto ad annullarlo ed è rispuntata
la parola chiave della democrazia, la rappre-
sentanza. Casaleggio dice cose che sosteneva
già il capo della destra repubblicana ameri-
cana Newt Gingrich negli anni Novanta, in
chiave tendenzialmente autoritaria. Da noi il
successo di Grillo dimostra che vent’anni di
deserto di rappresentanza politica ha provo-
cato nei cittadini il massimo della richiesta di
rappresentarsi da soli. L'esito è aperto».

Grillo è un potenziale dittatore prodotto dal
Web, come teme qualcuno anche a sinistra?
O è l’embrione di una nuova politica?

«Finora Grillo si è mosso da predicatore. Nel
fenomeno Grillo ci sono la Rete, lo Tsunami
tour, i media tradizionali che usa con astuzia.
Parla di comunità, parola che può diventare
rischiosa se si allude a un’identità chiusa agli
altri, un recinto. Ma la Rete dovrebbe servire
a far saltare le barriere, dovrebbe esserci
quasi l’obbligo di andare a vedere le opinioni
degli altri, i link ai siti che non la pensano
come te. In 5 Stelle vedo cose che ancora non
conosciamo e alcune potenzialità».

Sono il nuovo '68, l'immaginazione al potere?

«Nel ’68 insegnavo già, ero una contropar-
te... C’è una rivolta generazionale, questo sì.
Una cittadinanza informata e una voglia di
imparare. Sento dire che chiameranno qual-
che esperto a fare ezione di diritto parlamen-
tare, è positivo. E può rappresentare anche
una soluzione all’uso dei fondi pubblici per i
gruppi parlamentari. Non volete i soldi per i
portaborse? Benissimo, prendeteli per mette-
re su un pool di esperti di alto livello. Più in
generale, i nuovi parlamentari dovranno
conoscersi, misurarsi con le aule legislative.
In questi anni il Parlamento ha perso ruolo,
quando ero deputato io si diceva che legife-
rasse solo sulle cozze, poi è finito ad appro-
vare decreti con voti di fiducia, ora deve
tornare al suo ruolo di legislazione di princi-
pio e di controllo. E aprirsi alla società, anche
con forme di democrazia diretta. Penso alle
leggi di niziativa popolare che devono essere
messe obbligatoriamente in discussione, co-
me i referendum. Se fosse così, l’arrivo di 5
Stelle può diventare l’occasione per restituire
centralità al Parlamento, farlo tornare luogo
di comunicazione tra politica e cultura».

L’esordio, però, non è incoraggiante. Grillo
ha attaccato il divieto di vincolo di mandato
per i parlamentari tutelato dalla Costituzio-
ne: potrà tollerare l’autonomia dei suoi?

«Ma il lavoro parlamentare non funziona
così! O si nega ai parlamentari qualsiasi au-
tonomia, e li si trasforma in una specie di
osservatori in Parlamento che non votano e
non decidono. Oppure si entra nel gioco,
come è accaduto in Sicilia».

Lei ha firmato un appello per il voto alla
coalizione Pd-Sel. Si può fare un governo
guidato da Bersani appoggiato da 5 Stelle?

«Del segretario Pd ho apprezzato la polemi-
ca contro la personalizzazione della politica,
la scelta di non mettere il nome nel simbolo.
Non condivido la violenza e la frettolosità
con cui nel Pd è stato aperto un processo a
Bersani. Ora c’è un fatto stituzionale che una
personalità dello scrupolo di Napolitano
terrà n gran conto: a coalizione progressista
ha la maggioranza alla Camera ed è il primo
raggruppamento al Senato. Da questo non si
può prescindere. Il voto ci consegna altre due
indicazioni: la vittoria di 5 Stelle e il netto
riuto dell’agenda Monti. E questo aiuta a
definire i contenuti per un governo possibile.
Il vero dovere del Pd è consegnare all’opinio-
ne pubblica l’agenda della ricostruzione morale
e civile del Paese. Un punto di chia-
rezza, non in base a forzature deologiche, ma
alla realtà: il disastro miserevole della Secon-
da Repubblica, la crisi economica e sociale, i
risultati di questo ventennio».

Quali sono i punti di questa agenda?

«Primo: regole estremamente severe e sem-
plici sulla moralità pubblica. Qui sì, vorrei
più decisionismo. Non sono un nemico del
nanziamento pubblico ai partiti, ma biso-
gna tornare a livelli di accettabilità sociale.
Via i benet che non hanno giusticazioni,
via i soldi per cene e manifesti, bisogna ripor-
tare la politica a comportamenti virtuosi.
Non c’è solo la legge elettorale. Secondo
punto: il reddito di cittadinanza. Grillo ne ha
parlato, io ritengo che sia la precondizione
della cittadinanza, un diritto per tutti i citta-
dini. Susanna Camusso è contraria, teme che
su questa strada si stravolga la dimensione
contrattuale dei diritti, ma non c’è alternati-
va, va interamente ripensato il sistema degli
ammortizzatori sociali, accompagnato dalla
legge sulla rappresentanza sindacale che
vuole anche la Fiom. Sa cosa mi ha detto un
importante dirigente sindacale? Che metà dei
suoi delegati vota 5 Stelle. E poi un pacchetto
di interventi urgenti di politica industriale,
politiche sul lavoro, nella cornice di un’Eu-
ropa che riprenda la strada dei diritti. Inne,
c’è un ultimo punto, trascurato».

Quale?

«I diritti civili. Dopo le tante timidezze
degli ultimi anni l’asse portante del Pd, la
ricerca di un accordo con l’Udc, è stato
eliminato non da una scelta ma dagli elet-
tori. Ora nalmente si aprono nuove op-
portunità, un’autostrada per riprendere
quello che era stato fatto da un’Italia civi-
lissima negli anni Settanta, leggi che ci
avevano portato tra i Paesi più avanzati al
mondo. Con una maggioranza di 340 de-
putati alla Camera puoi far passare prov-
vedimenti importanti, come la riforma
della legge sulla procreazione già riscritta
dall’Europa, e poi andare al Senato. Serve
un cambio di passo. Su questo e su altri
temi, come la legge sul conitto di interes-
si, il mio consiglio al Pd è: fate i grillini!».

E se il dialogo tra Pd e 5 Stelle si spezza?
Tornerà il governissimo Pd-Pdl-Monti?

«Se si torna a quel tipo di soluzione a sinistra
si fa del male. È ora di dire basta alle trattati-
ve coperte. Il cambiamento deve avvenire sui
contenuti, non sulle negoziazioni».

Oltre al governo c’è da eleggere il nuovo
presidente della Repubblica. Su Twitter
rimbalza l’hashtag #rodotaforpresident.

«Vivo queste manifestazioni con il giusto
distacco ironico, è un periodo ipotetico
dell’irrealtà. Ho lasciato la politica parla-
mentare quasi vent’anni fa, non ho tratto
beneci personali dai miei incarichi, ho
riutato diverse offerte: una volta mi chia-
mò Prodi dalle Nazioni Unite chiedendomi
di fare il commissario della Federcalcio,
amo molto lo sport, a malincuore dissi di
no... Se guardo indietro vedo che ho fatto
sempre quello che mi sentivo capace di
fare. E alla mia età mi fa sinceramente
piacere che qualcuno si ricordi di me».

Che una figura estranea ai giochi come lei
circoli tra i papabili al Quirinale forse testi-
monia che l’Italia sta davvero cambiando...

«Questo non tocca a me dirlo!».

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