domenica 10 marzo 2013

Mucchetti sull'Unitá fa un'analisi attenta del momento politico alla luce anche dei mercati internazionali


di Massimo Mucchetti


Il declassamento delle obbligazioni
pubbliche italiane, annunciato
venerdì da Fitch, fa squillare un
primo campanello d’allarme che
alimenta le preoccupazioni del
Quirinale. Il giudizio della più
piccola delle grandi agenzie di
rating, infatti, deriva dal fondato
timore che il risultato elettorale
renda impossibile dare all’Italia un
governo stabile.

Se Fitch sarà seguita da Moody’s e
Standard&Poors, qualche conseguen-
za potrà verificarsi nella riallocazione
degli investimenti istituzionali vincola-
ti al rating. Ci sarebbe da chiedersi per
l’ennesima volta quale mercato sia
quello dove gli investitori non decido-
no in prima persona ma si consegnano
a tre agenzie. E tuttavia questa è la
realtà con la quale, ora, il Paese deve
fare i conti.

Quas imai le agenzie intercettano in
anticipo i rischi di insolvenza. Di solito
alzano o abbassano il rating sulla base
delle quotazioni dei titoli e dei credit
default swap. Questa volta, il pessimi-
smo d’agenzia non registra le scelte e
le previsioni reali giàmanifestate dagli
investitori. Ci dobbiamo dunque chie-
dere se Fitch abbia anticipato la storia
di una prossima impennata dei tassi
sui Btp o se il suo responso sia destina-
to a una sostanziale irrilevanza. Ri-
sponderei nel modo che segue.
In questa fase imercati sembrano di
manica larga. Avrebbero già dovuto
massacrare l’Italia alla caduta del go-
vernoMonti e non l’hanno fatto. L’Eu-
ropa è percorsa da movimenti che pro-
testano contro l’austerità. Fioriscono
partiti populisti.

Eppure, nel primoscorcio del 2013, proprio
verso le obbligazioni dei Paesi mediterranei
si sonodiretti ingenti capitali internazionali a
caccia di rendimenti. La politica della
Bce ha scoraggiato la speculazione
contro i debiti sovrani denominati in
euro.
Se ora stiamo alle ultime dichia-
razioni di Mario Draghi, non dovrem-
mo temere Fitch. Il presidente della
Bce non vede problemi ravvicinati per
il debito pubblico italiano in quanto i
conti dello Stato risulterebbero protet-
ti dai provvedimenti fiscali già presi e
destinati ad essere via via attuati. Ma
siamo sicuri che le parole di Draghi
non siano dettate dalla ragion politica
più che dalla ragione analitica? E fin
dove si spingerà la fame di rendimenti
dei money manager della City, di Zuri-
go e d iWall Street? La risposta autenti-
ca verrà dagli stessi mercati, nei prossi-
mi giorni. E avrà un’influenza rilevan-
te sulla formazione del nuovo gover-
no.

Ora, l’esperienza del governo Monti
si è rivelata largamente imperfetta. Ab-
biamo evitato il peggio nell’autunno
del 2011. Abbiamo consentito a Draghi
di dire che l’Italia faceva i compiti a
casa, e dunque che la Bce poteva sten-
dere una cintura di protezione attorno
al suo debito pubblico. Lo spread
Btp-Bund è tornato attorno a quota
300. Ma abbiamo pure un’economia
reale che non ha risolto i problemi di
fondo, un Paese in ginocchio e una de-
mocrazia parlamentare in crisi eviden-
te. E la stessa quota 300 resta insoste-
nibile nel lungo periodo. Basti ricorda-
re che nella primavera del 2011, Deut-
sche Bank si liberò dei titoli di Stato
italiano quando a quota 300 non erava-
mo ancora arrivati e Berlusconi nega-
va ancora l’esistenza del problema. In-
somma, il bilancio politico del primo
governo del Presidente non è univoco,
ancorché non possano essere attribui-
ti al presidente Napolitano gli errori su-
gli esodati, i pasticci sul mercato del
lavoro, il rifiuto della politica industria-
le e, last but non least, il tardivo e falli-
mentare protagonismo partitico di
Monti.

Un anno e mezzo fa l’alternativa a
Monti era quella di andare alle urne,
liquidand oBerlusconi con un Grillo an-
cora in gestazione di sé stesso. Il timo-
re delle mazzate dei mercati indusse il
Quirinale a evitare la rottura traumati-
ca della legislatura. E l’Italia tutta ap-
plaudì attribuendo a Monti simpatie
plebiscitarie.

Ma cosa vuol dire nell’Italia tripola-
re del 2013 fare un governo, mentre
Fitch storce il naso e però lo spread
pare ancora fermo? Il governo al quale
lavora Pierluigi Bersani rappresenta il
compromesso possibile sui contenuti
tra lo schieramento dimaggioranza re-
lativa, sia pure assai risicata, e lo schie-
ramento nuovo. Sarebbero realizzabili
provvedimenti che, fin qui, non hanno
mai riscosso adeguate maggioranze
parlamentari. Se, come pare, il Movi-
mento 5 Stelle lo affosserà, se ne assu-
merà la solenne responsabilità nelle se-
di istituzionali e non solo in comizi ur-
lati senza contraddittorio.

Il Quirinale poi prenderà le ulteriori decisioni.
Certo è che un secondo governo del
Presidente non potrà essere la fotoco-
pia del primo, quello di Mario Monti.
L’emergenza non è più la stessa. E
nemmeno l’offerta politica. L’emer-
genza corrente non è più la finanza
pubblica, ma il funzionamento della
democrazia e l’economia reale.L’offer-
ta politica non può più essere centrata
su un guardiano dei conti al quale i par-
titi uguali a sé stessi affidano il «lavoro
sporco» per poter poi tornare a casset-
ta,ma su un governo e su partiti capaci
di avviare il rinnovamentomancato fin
qui.

E se la fase di avvio comporta un
altro passaggio elettorale con una nuo-
va legge capace di dare comunque un
governo al Paese, i mercati capiranno
che solo l’esercizio della democrazia
può salvare l’Italia (e l’Europa) dall’al-
ternativa tra clown.

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