Dal Corriere della Sera di domenica 17 marzo 2013
di ANTONIO POLITO
Benvenuti nel mondo
dei franchi tiratori. I
grillini erano entrati in
Parlamento appena l’altro
ieri compatti come una
falange macedone,
monolitici come una
novella Compagnia di
Gesù, giurando
obbedienza perinde ac
cadaver. E al primo voto
vero, alla prima occasione
in cui non hanno potuto
evitare di scegliere, si
sono clamorosamente
divisi. La democrazia
parlamentare non è un
«meet up». È fatta di voti
e di regole. E senza
vincolo di mandato.
Messi di fronte all’alternativa tra Grasso e Schifa-
ni, numerosi senatori grillini hanno dunque rifiuta-
to una sdegnosa equidistanza, e cioè il mantra stes-
so di un movimento che considera i partiti tutti
uguali e tutti da cancellare, per sostituirli con la de-
mocrazia diretta del 100 per cento in cui i cittadini
si autogovernano. Non basta star seduti sugli spalti
alle spalle di tutti gli altri per evitare di sporcarti nel-
l’arena, quando ti chiamano a votare per appello no-
minale. Né viene in aiuto la tattica indicata ai suoi
seguaci da Beppe Grillo, valutare «proposta per pro-
posta» per evitare così di fare scelte «politiche».
Quella di votare Grasso era infatti una «proposta»,
e un buon numero di senatori grillini l’ha accettata,
facendo così una scelta altamente politica.
L’inflessibile logica del sistema parlamentare,
nel quale alla fine di ogni discussione c’è sempre
un ballottaggio in cui devi dire sì o no, non è d’al-
tra parte aggirabile con i riti della democrazia onli-
ne, perché sulla Rete non vale la regola «una testa
un voto» ma votano solo le minoranze attive. Sarà
sempre più difficile, emendamento per emenda-
mento, stare in Parlamento aspettandosi che a deci-
dere sia qualcuno che sta fuori. Ogni giorno si vota
innumerevoli volte, e ogni voto può avere conse-
guenze sulla vita di tutti. Ecco perché l’assemblea
parlamentare è diversa da un consiglio comunale o
da un’assemblea condominiale: perché fa le leggi,
la cosa più politica che ci sia.
D’altra parte i «grillini» non sembrano aver fino-
ra trovato nemmeno un modo accettabile per ga-
rantire quella trasparenza e pubblicità del dibattito
che finché erano fuori del Parlamento sembrava la
più innovativa delle soluzioni. Finora l’unica riu-
nione dei gruppi cui abbiamo assistito in «strea-
ming» è stata quella in cui i neoparlamentari si pre-
sentavano: più un happening che un’assemblea po-
litica. Ieri, quando il gruppo del Senato ha dovuto
decidere, lo ha fatto invece a porte chiuse, con i
giornalisti che origliavano come ai bei tempi della
Dc, e che riferivano di urla e di pugni sul tavolo poi
sfociati in un’aperta contestazione del capogruppo
(altra questione delicata: i leader sono essenziali in
ogni consesso, e i grillini non ne hanno uno in Par-
lamento; senza un leader e una linea, il motto «uno
vale uno» non può che trasformarsi in continua di-
visione).
Ma l’astuta mossa di Bersani, che a Schifani ha
evitato di opporre un nome usurato della vecchia
politica per preferirgli l’ex magistrato antimafia,
non ha solo aperto una crepa tra i «grillini», ha an-
che svelato due punti deboli di quel movimento. Il
primo è il rischio di irrilevanza. Se continua così, il
25 per cento dei voti degli italiani in Parlamento
non conta nulla. Il Movimento 5 Stelle è completa-
mente privo di potere coalizionale. Il partitino di
Vendola, che ha preso poco più del 3 per cento alle
elezioni, ha usato invece al massimo quel potere,
prendendosi la presidenza della Camera.
La seconda debolezza del M5S è che, per quanto
Grillo lo voglia sottrarre alla logica destra-sinistra,
la sua élite parlamentare, come segnalava ieri Mi-
chele Salvati su questo giornale, pende notevol-
mente a sinistra e al momento decisivo lo dimo-
stra, come ieri per impedire la vittoria di Schifani.
Non basterà forse a risolvere il problema di Bersa-
ni, visto che anche con i franchi tiratori «conquista-
ti» ieri gli mancano ancora una ventina di senatori
per un voto di fiducia, oltretutto palese;ma può ba-
stare per logorare rapidamente la presa di Grillo
sui suoi eletti, forse meno manovrabili di come lui
se li immaginava.
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