Pubblicato su alcuni quotidiani Finegil (mattino di Padova, Alto Adige etc.) il 5 marzo 2013
di CLAUDIO GIUA
In Austria per un meeting editoriale, ho passato due cene e alcune pause caffè a spiegare a tedeschi, francesi, spagnoli, inglesi, persino greci che l'esito del voto italiano va letto come un insieme di segnali - contraddittori ma chiari - mandati ai nostri politici. I quali ora sanno che l'elettorato non vuole affidare il paese a chi, quando ne ha avuto l'occasione, non ha saputo cambiare le regole ed eliminare le disuguaglianze; che le bugie dei corruttori morali e materiali sono ancora la moneta corrente preferita da quanti non pagano le tasse, odiano i diversi, ripudiano la solidarietà; che non si riesce più a incanalare la rabbia sociale e la delusione in dieci partitini senza rappresentatività ed efficacia, ma confluiscono in un unico contenitore di proprietà di un comico e del suo guru. Con i colleghi stranieri ho sostenuto che, se le elezioni non hanno avuto un vincitore che garantisca la governabilità, tuttavia hanno fatto emergere tre forze quasi equivalenti che saranno costrette a trovare l'accordo su pochi punti programmatici finalmente innovativi.
Non li ho convinti. Konstantinos, che vive e lavora ad Atene, è stato il più tassativo nel bollare senza sbocchi la nostra situazione (e dalle sue parti sono esperti in crisi irrisolvibili). Rosalia, madrilena di formazione britannica, m'è sembrata sollevata mentre prevedeva che, impercorribili le vie interne, "solo Bruxelles e Berlino avranno il potere di salvare noi e voi, con costi sociali altissimi". Jean Christophe, parigino, era dell'opinione che per colpa nostra il suo paese finirà presto nei guai: ha un po' tentennato alle mie argomentazioni ma poi è arrivato a dargli man forte un altro francese, Luc, che ci ha mostrato la prima pagina del Kronen Zeitung, oltre un milione di copie vendute ogni giorno in Austria, con il titolo "L'Italia trascina l'Europa nel caos". Storia finita.
Sono rientrato con la sensazione che molti europei soffrono del nostro stesso strabismo pessimista e fazioso, quello che ci fa giudicare con la massima severità i comportamenti dello schieramento avverso e altrettanta indulgenza quelli di chi sta con noi. Osservandoci, i nostri vicini non mettono più a fuoco né i problemi reali né quel poco che ancora funziona in Italia. Un peccato, visto che, tra ritorni berlusconiani, paure di contagio grillino, papi dimissionari e conclavi, mai come in questo momento il nostro paese è tra gli ombelichi mediatici d'Europa e del mondo.
Per convincere gli altri che abbiamo volontà e energie per farcela, tocca a noi cambiare registro. Troviamo e proviamo soluzioni, con meno vittimismi e senza elencazioni litaniche dei mali nazionali. Possiamo cominciare da piccoli fatti esemplari. Alcune settimane fa avevo contestato in un articolo la legge che impedisce di pubblicare i risultati dei sondaggi nelle ultime settimane di campagna elettorale. Così si sottrae un elemento di giudizio agli elettori, ragionavo. Sbagliavo. Sbagliavo talmente di grosso da farmi provocatoriamente dire ai colleghi europei incontrati in Austria che sarebbe opportuno che il nuovo parlamento mettesse tra le proprie priorità la proibizione perenne di qualsiasi sondaggio politico, visti i disastri provocati da Mannheimer, Piepoli, Masia, Pagnoncelli e altri ospiti fissi di telegiornali e talk show. Sono loro che per mesi hanno sfornato numeri su numeri secondo i quali Berlusconi valeva meno del venti per cento, il centrosinistra aveva un vantaggio incolmabile, Grillo avrebbe al massimo ben figurato come punto di riferimento dell'endemica area di protesta, com'era successo in passato con la Lega, Rifondazione, Di Pietro, una volta anche con i radicali.
Ovviamente, proibire i sondaggi non si può. Ma i media potrebbero, per un giro di giostra, non incaricare alcun istituto di raccogliere le intenzioni di voto. Tanto per vedere cosa succede.
Sto rimuginando queste idee un po' strampalate quando incontro Miri, albanese, capo degli "uomini dei campi" in un circolo del tennis. Da vent'anni in Italia, ancora non ha la cittadinanza. Mi chiede con fare affermativo: "Le cose vanno bene, no?". Cioè, Miri? "Se volete cambiare qualcosa, ora avete le migliori condizioni per farlo. Legge elettorale, conflitto d'interesse, norme contro la corruzione, salario di cittadinanza: un accordo tra Grillo e Bersani, un anno di riforme a testa bassa e poi si torna a votare. Non c'è mai stata, da quando sono qui io, questa possibilità. Prendi la proposta del dimezzamento dei parlamentari: se non lo fa il Parlamento più giovane d'Europa, significa che è solo propaganda". Peccato che Miri non possa candidarsi: lo voterei, la prossima volta.
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